Cina - Copia Servas - Imparo L'Italiano

Vai ai contenuti
UN PAESE IN RAPIDO SVILUPPO
快速發展的國家
L'anno in cui sono stata in Cina, Deng Xiao Ping proponeva le quattro modernizzazioni, per realizzare le quali serviva la forza delle braccia dei contadini, il vero motore del progresso e della produzione nel paese. Si produceva di tutto: mattoni per le case, oggetti di metallo, scarpe, vestiario... Il 45% del guadagno andava allo stato, il 55% era diviso fra i lavoratori, in base al punteggio di produzione.


Il viaggio è cominciato male. L'atterraggio all'aeroporto di Hong Kong è stato molto problematico. Quando eravamo già quasi a terra, non sappiamo perché – forse il pilota era un principiante - l'aereo ha ripreso quota quasi impennandosi.
Lo spavento generale è stato grande e questo si è visto, una volta che eravamo atterrati, dalla corsa dei passeggeri verso i servizi dell'aeroporto.
Ma i guai non erano ancora finiti. Sull'aereo per Guilin non c'era posto per tutti, io e altri 3 eravamo fra gli esclusi. L'accompagnatore ha offerto ad uno di noi il suo biglietto e, mentre stavo chiedendo ad un'altra compagna di viaggio con quale criterio avremmo deciso chi lo prendeva, la terza esclusa, che non si poneva problemi di correttezza, lo ha afferrato ed ha raggiunto il gruppo dei partenti.
Siamo rimasti in attesa per quattro giorni e quattro notti, senza mai poter riposare perché ogni 4 o 5 ore andavamo all'aeroporto a vedere se ci fosse posto su qualche aereo in partenza per Guilin.

GUILIN - L'esperienza più piacevole che conservo di Guilin è l'escursione lungo il fiume Yulong, conosciuto come Piccolo fiume. Eravamo su una zattera motorizzata in cattive condizioni e procedevamo in una leggera foschia. Il clima caldo umido toglieva un po' le forze, si aveva quasi l'impressione di trovarsi in un bagno turco.

Ma il paesaggio lungo le rive era straordinario. Le conformazioni di rocce carsiche, le fioriture stagionali, gli antichi ponti e le foreste di bambù, i contadini impegnati nella coltivazione del riso sui terrazzamenti vicini, i pescatori sulle zattere di bambù, le donne che lavavano gli abiti nelle acque del fiume, i bambini che nuotavano… molte scene idilliache di semplice vita rurale che da noi sono scomparse da tempo, ma che, a giudicare dalle foto che vedo su Internet, sono ormai scomparse anche lì.

CHENGDU - Leggo che oggi Chengdu, capoluogo della provincia di Sichuan, situata nel sud ovest  della Cina, è considerata la capitale della moda ed è anche diventata un importante centro tecnologico, con una popolazione di oltre 14 milioni di abitanti. Il fatto di trovarsi in una pianura alluvionale lungo il fiume Jin e di essere percorsa da numerosi fiumi ha permesso di realizzare un grande sistema di irrigazione. E’ vicina all’altopiano del Tibet ed ha una storia molto antica
 

Mi avevano colpita proprio i vicoli vecchi centinaia di anni e le piccole case di legno. I bambini portavano dei vestiti coloratissimi con stampe di fiori e di rami, i più piccoli stavano dentro a carrozzine fatte con canne di bambù. Mi sarebbe piaciuto noleggiare una bici e pedalare lungo quelle stradine costeggiate da piante di ibiscus, ma non è stato possibile.
 Nei parchi vedevamo gli abitanti che facevano ginnastica, ballavano e cantavano



In un ristorante di Chengdu con il gruppo avevo assaggiato l’hot-pot. Si tratta di olio ed acqua messi a bollire in un enorme calderone, nel quale si gettano diverse spezie, del peperoncino, dei chiodi di garofano freschi e delle erbe medicinali. In questo brodo piccante vengono immersi gli alimenti. Il cliente può scegliere della carne di pollo o di maiale accompagnate da verdure miste.
Finito il pranzo, abbiamo fatto sosta in una casa da tè, nella speranza che questa bevanda ci avrebbe aiutati a diminuire il bruciore che avevamo in bocca. Le case da tè rappresentano una parte essenziale della cultura cinese ed i locali, in mezzo ai quali ci siamo seduti, chiacchieravano e giocavano a scacchi mentre sorseggiavano il tè. Io avevo scelto quello al gelsomino, veramente delizioso.
 

XIAN E’ stato uno dei punti salienti del viaggio. Nell’anno in cui l’ho fatto io era stata portata alla luce solo una parte della distesa di migliaia di statue raffiguranti un esercito simbolico e c’erano i lavori in corso per portarle alla luce tutte quante. I soldati, con carri e cavalli, erano destinati a servire l’imperatore cinese Qin Shi Huang nell’aldilà. Aveva ordinato lui stesso le statue, perché, una volta che si fosse risvegliato nell’altro mondo, avrebbe avuto bisogno di un esercito per scortarlo e fargli compagnia. Egli credeva fermamente nell’immortalità, che gli era assicurata dall’elisir indù chiamato SOMA, che lui assumeva regolarmente.
 
 
PECHINO – Appena arrivati, l’accompagna-tore ci ha detto che dovevamo subito procurarci moneta locale, affidandoci a qualcuno che ci cambiasse i dollari in nero, al black market. Il cambio in moneta per turisti era più  svantaggioso. Non aveva ancora finito di dirlo che un tizio dall’aria un po’ losca che hanno quelli che vivono di espedienti si è offerto di accompagnarci da un ‘cambiavaluta in nero’.
 
 Era un francese che sbarcava il lunario facendo questo lavoro non proprio legale. Prontamente, il capogruppo ha chiesto a me, che “conoscevo le lingue”, di andare con lui. Mi sono messa nel marsupio il malloppo di biglietti verdi e siamo partiti. Eravamo appena dietro piazza Tien an Men e mai avrei immaginato che così vicino ci fosse un’enorme distesa di casupole basse e povere.
 
Ci siamo infilati dentro ad una di esse, poi da lì siamo entrati in un’altra, quasi attaccata, poi in un’altra ancora… Le famiglie all’interno non erano per niente stupite della nostra intrusione, il che voleva dire che non era la prima volta che quello accadeva. Finalmente siamo arrivati alla casa del cambiavalute. Gli ho consegnato il malloppo, lui ha contato i biglietti e mi ha dato quello che secondo i suoi calcoli era l’equivalente in yen.
Ovviamente dovevo credergli sulla parola. Abbiamo riattraversato tutte le casupole, sbucando, con mio grande sollievo sulla piazza, in mezzo a uomini e bambini che facevano volare gli aquiloni.
Ho consegnato gli yen all’accompagnatore e ci siamo tuffati nelle strade della grande metropoli.
Lo scampanellio di migliaia e migliaia di bici era assordante. La bicicletta serviva, oltre che per spostarsi, per trasportare animali e verdure al mercato.
Siamo andati a visitarne uno. Le venditrici erano infagottate nei loro abiti lunghi e avevano un foulard in testa. Mi aveva colpita una bancarella dove si potevano noleggiare i fumetti. Ovviamente non si potevano portare a casa, ci si sedeva semplicemente per terra a gambe incrociate e li si sfogliava. Ho letto che in quegli anni, la percentuale di analfabeti nel paese era molto alta.
Agli incroci, issati sopra a delle doppie pedane gialle con i  bordi rossi e con delle scritte, c’erano i vigili, che cercavano di mettere un po’ d’ordine in tutto quel caos. Ma le direzioni di marcia erano talmente tante che i loro sforzi finivano per essere vani. La loro era un’impresa davvero disperata.
 
I bambini che si recavano a scuola indossavano una divisa. Quelli più piccoli erano seduti dentro a una specie di sidecar per bici. Guardavano fuori attraverso le finestrelle di plastica trasparente inserite nella capotte, anch’essa di plastica, che li proteggeva dalla pioggia. Sui muri ai lati delle piazze e su quelli lungo le strade erano affissi degli enormi manifesti illustrati che informavano la popolazione sulla Pianificazione Familiare.
 
Gli spostamenti in treno sono stati una vera “tortura cinese”! Unendo tutti i tratti che abbiamo fatto essi assommavano a più di una settimana. Il tormento maggiore era dato dal suono costante, giorno e notte, della radio a tutto volume. Emetteva un gracchiare continuo, sullo sfondo del quale c’erano voci che chissà cosa dicevano e a chi si rivolgevano,  visto che nessuno dei passeggeri cinesi vi prestava la minima attenzione.
 
Una volta, a causa dell’indicazione errata di un viaggiatore a cui avevamo chiesto l’informazione, siamo finiti in un vagone sbagliato, che era di una classe superiore. Ci siamo subito resi conto dell’errore, ma il vagone vicino era talmente stipato di gente, che era impossibile attraversarlo per raggiungere il nostro. Abbiamo cercato di spiegarlo al giovanissimo controllore, che era arrivato nel frattempo, ci siamo offerti di pagare la differenza, ma lui continuava a guardarci con uno sguardo che voleva incenerirci senza dire nulla. Noi non volevamo viaggiare a sbafo, purtroppo la comunicazione era impossibile, non siamo riusciti a farci capire. Poco dopo, abbiamo visto lo stesso controllore che, in un vagone vicino, ha preso per i capelli una passeggera cinese e l’ha scaraventata sul marciapiede della pensilina.


A Pechino mi è capitato che dei giovani cinesi, studenti universitari, si rivolgessero a me in inglese e, con grande cortesia, mi chiedessero se avevo voglia di chiacchierare un po’ con loro. Gli stranieri rappresentavano un’occasione per praticare la lingua ed io ero felice di acconsentire alla loro richiesta.
 
A Pechino, uno degli studenti che si è rivolto a me, si stava specializzando in agopuntura. Mi ha portata a visitare la clinica dove lavorava e sono rimasta affascinata. Abituata al caos, alla maleducazione del personale, al fare sbrigativo dei medici del mio paese, mi sembrava di trovarmi su un altro pianeta. Il silenzio, i gesti calmi e misurati degli agopuntori, la loro  compostezza, i sorrisi erano meravigliosi. Ecco, dicevo fra me, un luogo di cura dovrebbe essere esattamente come questo.
 
Una volta usciti, ho espresso il mio incanto al giovane medico che mi aveva introdotta in quel mondo. Siamo andati a prendere un tè, continuando a chiacchierare. Lui mi poneva mille domande sul mio paese, sul mio lavoro ed io rispondevo molto volentieri.
 
Alla fine ci siamo salutati con una stretta di mano, felici entrambi del nostro incontro.   
 

SHANGHAI - Com’è mia abitudine, anche a Shanghai mi sono alzata presto per andare a fare un giro nei dintorni. Proprio dall’altra parte della strada c’era un parco ed ho deciso di cominciare da lì il mio giro.
Avvicinandomi al cancello d’ingresso, vedevo che i residenti che entravano gettavano delle monetine nella piccola apertura di un grosso bidone metallico. Non mi è però venuto in mente che lo facessero perché l’ingresso al parco era a pagamento. In Occidente è una cosa che non esiste. Perciò ho tirato dritto, ma ci ha pensato l’uomo che era in piedi di fianco al bidone ad illuminarmi. A gesti e mostrandomi le monetine nel palmo della mano, mi ha fatto capire che anch’io dovevo versare l’obolo per poter entrare. Ho subito inserito la quota richiesta ed ho proseguito.
Data l’ora mattutina, molti si dedicavano ad esercizi ginnici ed alcuni in particolare mi incuriosivano. C’erano un uomo e una donna, forzuta e muscolosa, che prendevano a schiaffi ciascuno il suo albero. Era una pratica che non avevo mai visto fare in altri paesi e pensavo che i due dovevano avere la pelle dei palmi delle mani bella spessa per non ferirsi contro le protuberanze della corteccia!   
Una domenica pomeriggio siamo usciti dall’albergo per fare una passeggiata nelle vie del centro. Ci siamo ben presto resi conto che il nostro concetto di ‘folla’ non aveva niente a che vedere con quella che stavamo per affrontare...
E’ vero che  l’associazione con cui viaggiavamo si chiama AVVENTURE NEL MONDO e quindi non abbiamo motivo di lamentarci dei lati negativi che spesso esse comportano. Ma quando queste ‘avventure’ si limitano a cose molto sgradevoli e pericolose che non portano a nulla, sarebbe meglio essere in condizioni di evitarle. In questo caso, sarebbe bastato che gli accompagnatori dei viaggi precedenti avessero segnalato che era meglio evitare di recarsi in centro la domenica pomeriggio e che il nostro accompagnatore avesse letto i loro diari per non portarci lì.
Invece…  All’improvviso, ci siamo trovati letteralmente imprigionati in un muro di corpi che ci impediva qualsiasi movimento. Non parlo di camminare ma, più semplicemente, di sollevare ad esempio un braccio per scacciare un insetto da davanti agli occhi, eravamo come delle statue compresse ed immobilizzate dalla pressione esterna. Una cosa spaventosa, che bisogna provare per crederci. Non è passato molto tempo prima che una donna del gruppo abbia cominciato a gridare che si sentiva svenire a causa della pressione che sentiva sul torace e dello schiacciamento che le impediva di respirare… Purtroppo, non c’era nulla che potessimo fare per aiutarla, eravamo tutti nella sua stessa situazione.
 
A Shanghai abbiamo anche fatto l’esperienza di entrare in un aeroposto che non esisteva, nel senso che non era stato ancora costruito. Il gigantesco capannone, nuovo di zecca, era completamente vuoto, salvo che per un unico banco per il check in, peraltro deserto.  
Attraverso i vetri si vedevano all’esterno, sulla pista, due aerei, senza ombra alcuna di persone né sopra né vicino.
Subito dopo di noi è arrivato un gruppo di giapponesi, che, velocissimi e decisi, sono andati ad incollarsi al banco del check in.
“Aho, Giappo, l’avete persa anche voi la guerra!” gli ha urlato uno del numeroso gruppo di napoletani presenti fra le nostre file.
Senza sapere bene cosa fare, bighellonavamo in giro, nella speranza che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno degli addetti a dirci cosa fare.
Finalmente è arrivata una hostess o presunta tale. Con enorme difficoltà, data la barriera linguistica, abbiamo cercato di spiegarle il motivo della nostra presenza in quel luogo, dato che  lei sembrava sorpresa di vederci lì…
 
                                                         Continua prossimamente…
Torna ai contenuti